Moto da cross

28 09 2012

L’ambulanza percorreva la strada principale. Franca aveva appena acceso lampeggianti e sirena bitonale. Per una vita a bordo di quell’ambulanza era accorsa sul luogo dell’evento con tutto il suo equipaggio. Questa volta era diverso. Era preoccupata. Come impietrita continuava imperterrita la sua corsa verso il luogo indicato dalla centrale 118. Ci avrebbe impiegato almeno 15 minuti. Al suo fianco, Stella, il capo equipaggio, tremava dall’adrenalina. Il cuore le esplodeva nel petto. Aveva risposto lei alla chiamata:
“Ciao Barzanò, per voi un uscita a Valledeifiori, un motociclista in pista, caduto, incosciente, vai in codice ROSSO e fammi sapere”.
“Un motociclista. Cazzo. Dimmi che non è Simone, ti prego” pensava nella sua testa.
“Dammi un paio di guanti S bianchi” aveva urlato al terzo componente dell’equipaggio: Davide.
“E appena arriviamo mettiti subito alla testa e immobilizzagliela!”
“Ho paura Franca”
L’ambulanza correva. Il ritmo cardiaco incalzava con l’avvicinarsi al luogo dell’evento. Quella maledetta pista da cross.

 

“Hai visto la mia radiografia?” Le disse quel ragazzo castano dagli occhi scuri.
“Sì, la tua immagine profilo su FB, sei proprio un cazzone. Ma come diavolo hai fatto?”
“In moto, sabato pomeriggio, ho preso un salto, non ho visto la buca dietro e ho perso il controllo della moto!”
“Sei proprio un pirla!”
Ridevano. Come amavano fare nei pomeriggi estivi sotto il sole brianzolo. La moto. Una passione, per entrambi.
Lui amava le moto. Adorava quelle da cross, come se fossero ragazze dai lunghi capelli scuri e grandi occhi verdi. Ogni sabato era in pista con la sua moto e lei spesso lo seguiva. Era innamorata. Innamorata di quelle moto e probabilmente anche di lui.
Durante un oratorio estivo il suo cuore adolescenziale prese una bella cotta per quel bulletto di compagnia. A dirla tutta lui manco si era accorto di lei. Magra e un po’ bruttina era spesso sbeffeggiata dagli altri componenti di quella piccola compagnia di periferia.
Per anni lei tentò in tutti i modi di mostrarsi ai suoi occhi, senza alcun risultato. Amici, nulla più. Migliori amici, fino al giorno in cui lui, sì sì proprio lui, la baciò. Stupita e arresa sotto il suo corpo era la ragazza più felice del mondo. Un sogno, una realtà.

 

“La prossima sulla sinistra, devi entrare in una via sterrata, stai attenta” con il cuore in gola Stella urlava le indicazioni stradali per sopperire al suono della sirena.

 

“Qui è dove mi hai strappato il primo bacio. Non il primo in assoluto. Ci eravamo già baciati. Il primo bacio che sancì la mia arrendevolezza. Mi piaci, mi sei sempre piaciuto. Quel giorno ho dovuto ammettere a me stessa che l’attrazione fisica che ho per te andava considerata, non repressa. Beh a dire il vero non mi hai solo baciata, mi hai sdraiato sul cofano della macchina, una notte d’estate, mentre le tue labbra sfioravano il mio collo e il mio senso di controllo iniziava a vacillare. Ci ritrovammo un mese dopo a casa mia… Il resto, lo conosci meglio di me…”
Sorrise.
“Seriamente? Ti ricordi tutto questo?”

“Un bacio, solo un bacio, nulla più!”
“No! Ti conosco, so come andrebbe a finire. Più che conoscere te, conosco me. Non resisterei alle tue labbra. Se ti baciassi ora, continuerei a farlo. Non potrei smettere. Adoro baciarti. L’ho sempre fatto con una certa passione.”
“Questo mi piace di te!”
“Questo odio di te. Non riesco a starti lontano, non riesco adesso a guardarti negli occhi e non pensare a dove morderti, baciarti, leccarti.”
“E cosa stai aspettando?”
“La sicurezza che tu un giorno non mi ferisca, di nuovo.”
“Da quello che so io, tra i due sei tu quella fidanzata”
“Vero. Ma quando ti vedo il livello dei miei estrogeni subisce un picco vertiginoso. Non riesco a stare a più di 20 cm da te. Mi attrai, da morire…”
Lo bacia. Sul collo. Con una passione travolgente. Lui avvolge le sue braccia intorno alla sua vita, la stringe. Lei avvolge con le mani il suo viso mentre inizia a mordergli le labbra, dolcemente, fugacemente, ardentemente. Sposta le braccia intorno al collo, il suo seno è strettamente a contatto con il petto del ragazzo più enigmatico che abbia mai conosciuto.
“Ti odio.”
“Io di più.”
“Baciami ancora, ti prego, non riesco a farne a meno.”
“Ma se fino a prima le mie extension fuxia non ti piacevano.”
“Ma chissenefrega se hai i capelli rosa, blu o verdi. Voglio baciarti, voglio fare l’amore con te. Ti odio cazzo. Ti odio.”
“Credimi, io di più. Molto di più.”

 

La scena che si aprì davanti al giovane equipaggio fu terribile. Attoniti e impietriti cinque ragazzi stavano in cerchio, con i caschi in mano e le lacrime agli occhi intorno a lui: Simone.
Davide si mise subito alla testa. Il casco, insanguinato, scivolava tra le sue mani mentre cercava di afferrarlo saldamente.
Le mani tremavano, Stella in quel momento dimenticò tutti i protocolli minuziosamente studiati negli anni passati. Immobile. Le lacrime scorrevano sul suo viso magro e abbronzato. Si inginocchiò quasi lasciandosi cadere, come se stesse per svenire. Da quella mesta posizione fu difficile riprendersi. Franca alle sue spalle aveva appena spento l’ambulanza e indossato i guanti taglia S. Piccole mani di una grande donna.
“Stella!!!” urlò. “Forza, iniziamo la pronosupinazione!”
A quell’urlo Stella si destò. Recuperò le forze e coordinò tutto l’equipaggio, ma il suo cuore esplodeva.
“Simo? Simo mi senti?”.
Niente.
Simone non rispondeva. Occhi serrati ricoperti di sangue.
“Franca prendi la robin e tagliagli la tuta. Davide iniziamo a estrarre il casco!”

 

Continua… Forse…





Concordia Sulla Secchia – Campo CRI per i terremotati

17 09 2012

Primo giorno – sabato 8 Settembre 2012
Mi sveglio presto, la valigia è quasi ultimata, mancano solo gli ultimi dettagli. Paolo mi passa a prendere per accompagnarmi in stazione ad Arcore, dopo una buona e sana colazione.
Il viaggio inizia.
Arrivata in stazione a Milano Porta Garibaldi mi unisco al gruppo di Varese: Marco, Marco, Matteo, Francesca. Io e Matteo già ci conoscevamo. Lui era un “passante” nello spot AREU dove io ero la “soccorritrice di passaggio sul luogo dell’evento”.
Il viaggio dura due ore e mezzo, noi con occhi curiosi cerchiamo là, fuori dal finestrino, una crepa, un tetto crollato, macerie ammucchiare… ma, niente. Dovremo rimandare l’incontro con il terremoto a più tardi.
Arriviamo al campo di Concordia Sulla Secchia molto emozionati, per alcuni di noi è la prima esperienza in un campo. La segreteria ci assegna la tenda S1, 10 posti. Siamo i primi ad arrivare e la tenda è un vero porcile. Olio di gomito, scopa, paletta e torna tutto come nuovo. Il sole picchia forte e noi cerchiamo un po’ di refrigerio sotto gli alberi che qui, al campo sportivo, non mancano.

ore 15.00 briefing. Ignazio è il nostro Capo Campo. Dopo un discorso abbastanza maschilista sull’evitare contatti “amorosi” con gli ospiti, in cui io arriccio un po’ il naso, si ferma e mi chiede:
“Ti sei offesa?”
“No, assolutamente. Sei stato crudo ma chiaro!”
Arriva il momento dell’assegnazione dei ruoli. “Quanti di voi hanno esperienza in cucina?” Le mani che si alzano sono pochissime.
Appello. Che lavoro fai? Quali sono i tuoi hobby?
È il mio turno. Ignazio chiede il mio hobby: “Vivo d’amore” rispondo provocandolo!
Tutti ridono. Ignazio ne rimane colpito, da lì a breve mi chiamerà “bersagliera”. Con lui è subito simpatia, a pelle.
Veniamo divisi in due gruppi, entrambi destinati alla cucina. Io inizio subito.
Agostino è il nostro chef. Alessandro il responsabile della cucina.
Io, Pamela e Tony gli addetti agli asporti.
Dalle 15 alle 22 il lavoro impegna mani, testa e cuore.
“Partita a beach volley?” chiede sorridendo Nicolò. La sfida è aperta.
6 contro 6. Squadre miste, donne, uomini, terremotati, soccorritori, italiani, marocchini, tunisini, bravi e incapaci.
Arriva Ignazio e si schiera contro di me. Mi provoca ma io ho la meglio. Chiudiamo sul 2 a 1 e la promessa di un richiamo scritto per non averlo fatto vincere.
Abbandono il campo, vado a riposare dopo una doccia calda. Qui di sera scende il freddo e bisogna coprirsi bene.
Mentre i ragazzi continuano a giocare io esaurisco le mie forze all’una.

Secondo giorno – domenica 9 Settembre 2012
La sveglia suona alle 7.30, colazione e alle 8.30 siamo già operativi in cucina fino alle 15.00, poi meritato riposo. Durante il lavoro ci siamo uniti un po’ tutti. Alessandro ormai si fida di me. Il complimento più bello ricevuto fino ad ora è stato il suo “sei un’instancabile lavoratrice, ora però vatte a riposà” detto con quel suo splendido accento pisano.
Simona, la nostra mitica cuoca, mi ha soprannominato Cenerentola per la mia propensione alle pulizie.
Finiamo il turno del pranzo e ci ritroviamo magicamente tutti in doccia!
La stanchezza si fa sentire. Il parco giochi diventa il nostro punto di ritrovo per chiacchierare, ridere, scherzare, fumarsi una sigaretta e riprendere le forze.
Arrivano le sette di sera, infilo le scarpe da corsa ed esco dal campo. I Negrita risuonano nelle cuffiette del mio iPhone. Eccole. Le macerie. Il centro storico della città mi fa venire i brividi. Tetti crollati, crepe che solo a guardarle ti colpiscono come una freccia al cuore. Quando ti trovi di fronte a tutti questi mattoni crollati dall’alto il tuo unico pensiero va agli abitanti di quelle case. E ti accorgi di quanto hai, tutto, e di quanto, invece, continui a volere, egoisticamente.
6 km di corsa tra le macerie e i camion dei Vigili del Fuoco. è ora di rientrare.
Ormai fa freddo, il sole è sceso e l’aria è pungente.
Ceniamo e ci prepariamo per la seconda sfida a beach volley. Alcune facce nuove, altre già viste. Oggi non è la giornata ideale per giocare a beach. Perdo tutte le partite 2 a 1. Sono una sega. La schiena inizia a farmi male, meglio fermarsi. Non so perdere, e non riesco a farmene una ragione.
I ragazzi del campo traducono il mio tatuaggio e mi dicono che in Tunisino e Marocchino significa “Che Dio ti benedica”. Sorrido. Chiedo loro di scrivermi il mio nome “Negme” in arabo così da potermelo tatuare sul braccio destro.
Doccia e nanna. Domani si inizia con la cena!

Terzo giorno – lunedì 10 Settembre 2012
Yawn. Il sole scalda già questa terra fredda. Colazione con pane e Nutella sperando in una mattinata tranquilla… e invece no! Ignazio, che tanto mi vuole bene, mi arruola per smontare una tenda pneumatica. E così ci ritroviamo io, Pamela, Tony e Andrea a piegare i teli, sganciare la copertura e pulire tutto l’interno della tenda.
Poi finalmente il pranzo, e subito dopo mi addormento nella mia comoda brandina.
Mi sveglio, completamente sudata. Sono le 14.45, giusto il tempo di una doccia veloce e poi via, in cucina con cuffietta, grembiule e guanti a preparare tutto il necessario.
Alessandra pensa ai nostri pancini con una buonissima torta con ripieno al cioccolato di cui mi sarò mangiata mezza teglia!
Si fa sera, niente beach volley oggi. Siamo tutti molto stanchi, si va a letto presto, domani la sveglia suonerà molto presto.

Quarto giorno – martedì 11 Settembre 2012
ore 6.00 suona la sveglia, oggi io e Alessandra, la bella bionda parrucchiera, insieme ad Andrea, siamo gli addetti alla colazione. Apriamo la cucina, prepariamo la linea, i biscotti, le marmellate, il latte caldo con l’aiuto di Alessandro, la cioccolata, il caffè e il the.
Ore 7.00 si apre. Tutti in linea a lavorare.
Qui si consuma una tra le esperienze più formative della mia vita. Servire queste persone, a distanza di quattro mesi dal terremoto ti apre gli occhi su un’infinità di piccoli particolari. Primariamente capisci che l’educazione è una cosa personale. Non è legata alla tua cultura, alla tua religione alla tua età o al tuo sesso. Un uomo arabo si presenta arrabbiato perché non c’era il pane che preferiva, mentre una donna della sua stessa etnia, con il velo sul volto mi si avvicina educatamente e mi chiede “Un bicchiere di latte per favore”, con un bellissimo sorriso e gli occhi verdi raggianti. Un’altro uomo, italiano questa volta, si presenta altezzoso al mio cospetto e mi dice “dammi quello lì”; un “per piacere?” non lo mettiamo?
Un po’ amareggiata da questa situazione mi rimetto al lavoro in cucina, prepariamo i pranzi d’asporto ma questa volta con la segreteria abbiamo qualche problema. Arriva Paolo dalla segreteria. Paolo, 25 anni, al nostro “primo incontro” mi aveva negativamente colpito. Avendogli chiesto un chiarimento mi aveva risposto maleducatamente. Così lo avevo già etichettato come “stronzo”. E invece, dopo una breve chiacchierata e lo scambio di due opinioni ho avuto il piacere di modificare la sua etichetta. Colto in fallo, ha apprezzato maggiormente il nostro lavoro in cucina e si è ricreduto su di me quanto io su di lui.
Fine turno, era ora. Meritato riposo. Sonnellino, corsa e cena.
Prendiamo il mezzo CRI e andiamo a Vallalta, alla festa del paese, dove mangiamo gnocco fritto e beviamo lambrusco. Sfido Paolo al tiro con la pistola ad aria compressa. Vince lui, maledizione. Mi regala un piccolo dalmata.
Rientriamo al campo passando prima per la zona rossa di Concordia. Macerie. Di nuovo. Percepisco il sordo rumore delle lacrime versate di fronte a quelle case. 4 lunghi mesi sono passati ormai, ma molta gente è ancora senza dimora.
Basta tristezza, una volta rientrati ci mettiamo a giocare a beach volley; vengo presa di mira e mi fanno rotolare come una cotoletta nella sabbia. Rido. Tutta questa atmosfera è infinitamente piacevole. La notte è il momento migliore per stare tutti insieme ridendo e sviando i pensieri tra un tiro di sigaretta e un sorso al bicchiere.
La notte si fa sempre più folta, andiamo a dormire, domani ci sarà ancora molto lavoro da fare.

Quinto giorno – mercoledì 12 Settembre 2012
Questa mattina il gruppo A della cucina è di riposo. Dopo la nostra solita ricca colazione, questa volta piena di Nutella, prendo computer e fogli vari per scrivere la tesi. Ai tavoli sotto l’ombra fresca degli alberi il Capitano Madonna mi raggiunge e scopro essere un elemento fondamentale per la mia tesi. Il Capitano è il responsabile della sicurezza di diverse ditte, una tra queste la Magneti Marelli.
Chiacchieriamo e discutiamo di diverse problematiche inerenti la sicurezza sul lavoro, finché arriva l’ora del pranzo.
Ore 15.00 tutti schierati in cucina, il tempo promette pioggia, il vento soffia forte. Poche ore ancora ci separano da un’intensa pioggia che bagnerà tutti i nostri vestiti, allagherà le nostre tende ma non fermerà i nostri animi.
Riparati al calduccio della cucina prepariamo gli asporti per i ragazzi della sera. La segreteria arriva puntuale alle 19.00 ma ci sono ancora alcune problematiche da risolvere. Alcuni ospiti non vengono a ritirare la cena, altri invece arrivano senza aver prenotato e dove il caos regna sovrano, io regno più potente di lui. Sistemo tutto e invito Paolo a rivedere tutta la gestione degli asporti insieme a me. Accetta l’invito.
Finite le pulizie in sala e in cucina mi dirigo in segreteria con Paolo, sotto una fine pioggia, strascico della copiosa ondata che l’aveva preceduta. Scintilla recupera un paio di stivali di gomma per me, Paolo mi presta il cappuccio della sua giacca e finalmente al caldo della segreteria iniziamo a lavorare.
Finiamo tardi ma forse abbiamo sistemato gran parte del lavoro. Domani vedremo come andrà.

Sesto giorno – giovedì 13 Settembre 2012
Di nuovo il turno del pranzo, iniziamo con il pelare patate, tante patate. Giornata tranquilla oggi, tutto fila liscio, sono felice che il metodo elaborato con Paolo la sera prima inizi a dare i suoi frutti. Il pomeriggio passa velocemente fino alle cena dove mi fermo a parlare con i ragazzi più giovani del campo. Ognuno con la loro storia, ognuno con il proprio racconto. Ognuno con il proprio dolore.
Capisco la difficoltà di questi giovani ragazzi, senza una famiglia alle spalle. Lavorano ormai da anni, alcuni ancora in nero. Non mi sembra questo il MIO Paese. Quello democratico dove ognuno DOVREBBE avere il diritto al lavoro. Alcuni tra questi ragazzi hanno fortunatamente appena firmato un contratto di lavoro. 19 anni e la forza di volontà di guardare avanti e vivere, o forse dovrei dire… sopravvivere.
La parte più emozionante della giornata arriva a sera inoltrata: si gioca a carte. Scala quaranta prima, scopa d’assi poi. Rifugiati in un lontano angolo del campo ci ritroviamo a giocare con un lume delicato, forse troppo. Io e Paolo contro Alessandro e Simona. Che la sfida abbia inizio. Tra me e Paolo c’è intesa, Ale e Simo non sanno che ci stiamo comunicando le rispettive carte tramite messaggio. Dei veri ladruncoli.
E poi di nuovo buona notte, e si spengono le luci.

Settimo giorno – venerdì 14 Settembre 2012
L’aria è un po’ fredda questa mattina, il pile e la giacca scaldano le nostre ossa. Accompagno Paolo a bere il caffè e, mentre lui aspetta che venga pronto, un bambino gli si avvicina, gli corre incontro e lo abbraccia. Il cuore mi si stringe nel petto. Si mettono fronte a fronte, si guardano negli occhi. Solo questo basta a farmi capire chi è realmente il ragazzo che mi ritrovo di fronte. Quel ragazzo che all’inizio odiavo per la sua arroganza ora possiede un cuore. Incredibile.
Sarà l’innocenza dei bambini, sarà che lui è davvero “un duro” ma dentro quel petto batte un cuore caldo e dolce. Sarà che la prima impressione non è sempre quella corretta, ma questo ragazzo è davvero una bellissima persona.
Mi si avvicina, dopo aver invitato il bimbo a tornare a giocare, mi bacia. Sulla guancia, dolcemente. Avvolge il suo braccio intorno alla mia spalla e mi invita a seguirlo. Mi guarda negli occhi, faccio fatica a credere che sia davvero lo stesso uomo di sabato, quello che mi ha risposto arrogantemente a una semplice richiesta. Faccio tanta fatica, ma mi faccio ammaliare dai suoi occhi, sembrano essere sinceri.
La mattinata scorre velocemente, tra un lavoretto e l’altro.
Dopo pranzo Paolo viene a farmi compagnia in stanza prima di ricominciare il lavoro, ascoltiamo un po’ di musica e io mi addormento sulla sua spalla.
Il telefono ci sveglia ed è già ora di iniziare il turno in cucina.
Prima di iniziare il lavoro abbiamo l’incontro con lo psicologo, una mezz’oretta di chiacchierata per capire quali sono le nostre emozioni, sensazioni, paure che sono emerse da questa avventura.
Parliamo di noi.
Alcuni, i più sensibili già piangono all’idea del distacco. Io assumo, come sempre, la parte della “dura” del gruppo. Esordisco con un: “Ciao, mi chiamo Maristella, ho 24 anni e sono 4 giorni che non bevo… ah no, non è il gruppo degli alcolisti anonimi? Accidenti ho sbagliato gruppo!”. Sdrammatizzo. Risollevo un po’ gli animi.
Dentro soffro anche io, ma nessuno lo deve sapere.
Finisce la riunione e indossiamo la nostra “divisa”: cuffia, guanti e grembiule. Questa sera abbiamo una missione in più da svolgere: grigliata per tutti i volontari del campo. Affettiamo zucchine, melanzane e tagliamo peperoni. La cucina è affollata, oltre all’ordinario abbiamo anche voglia di fare di più. Ale, il “provvisorio” capo campo vista la partenza di Ignazio per Torino, viene umilmente a darci una mano. Ore 21.00 si chiude la sala. Ultimo sforzo. Le pulizie e poi tutti a cena in un’unica tavolata. 40 volontari, da tutte le regioni italiane, dialetti che si mischiano, risate che invadono il cielo insieme al profumo di spiedini e muffin caldi che Alessandra ha preparato per tutti.
Ci si prende in giro, si cerca di ridere evitando di pensare al domani.
Già.
Domani.
Il giorno dei saluti.
Il giorno di chi partirà senza un pezzo di cuore. Perché Concordia è così, ti ruba il cuore. La Croce Rossa ti ruba l’anima.
Si avvicina la notte, ci ritroviamo in piazzetta, giochiamo ancora un po’… i nostri letti possono aspettare, il mio aspetterà tutta la notte.

Ottavo giorno – sabato 15 Settembre 2012
“Ale, svegliati, sono le 8.00” con dolcezza e un bacio sulla guancia sveglio Alessandro. “Le 8.00? Oddio mi prenderò un cetriolo… ma non è suonata la sveglia?” esclama Ale preoccupato, doveva essere alle colazioni alle 6.30. Per fortuna Ago e Simona le hanno fatte al posto suo.
Ma cosa importa? Oggi è l’ultimo giorno!
Facciamo colazione insieme. Un bel tavolo di giovani occhi stanchi ma vitali.
Paolo mi ruba gli ultimi istanti dalla cucina per portarmi a Fossa dove c’è l’emblema di questo terribile terremoto: una chiesa che sta per crollare. Sola, davanti a quel quadro, mi rendo conto di quanto possa essere distruttivo un terremoto, di quanto possa distruggere, annientare, uccidere.
Penso a quanto ho e mi ritengo una stupida a volere ancora di più. Penso che in momenti come questo, dove non ho nulla, ho invece tutto.
Penso che la Croce Rossa per me sia davvero tutto. Che una tenda, quattro sorrisi e due occhi mi possano bastare per una vita intera, del resto io “vivo d’amore”. E qui di amore ne ho trovato tanto.
Penso che sia stupido accumulare, desiderare una casa sempre più grande, una macchina sempre più costosa. Alla fine di tutto questo viaggio quello che mi resta scolpito nel cuore è che non è una borsa di LV a fare la differenza. La differenza la fai tu, con te stessa. La differenza la fai quando ti sporchi le mani, quando torni a casa la sera distrutta dalla fatica e ti svegli alle sei del mattino ma con una voglia di fare e un sorriso che farebbero invidia a qualsiasi sceicco.
La vita non è avere la piscina in casa, una Ferrari nel box e uno champagne d’annata in cantina.
La vita è guardare intensamente negli occhi una persona che, anche non avendo nulla, per te ha tutto. Tutto quello che ti serve per essere felice.
Meglio non possedere nulla ed essere felici che possedere tutto e non essere mai contenti perché desiderosi di avere sempre qualcosa in più.
Lacrime a fiumi sotto gli occhiali da sole invadono il campo di Concordia. Abbracci lunghi e baci intensi. Promesse di rivedersi o di sentirsi almeno per messaggio.
Domani è già arrivato e ognuno torna alla “normalità”.

Arrivederci amici miei. Mi mancherete. Ma vi porterò sempre nel mio cuore!

Maristella

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